Belluno

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Piave, Ponte della Vittoria

martedì 7 dicembre 2010

Aprile 1945: il comandante “Carlo” beffa per la seconda volta le guardie alle carceri di Baldenich

carcere di Baldenich (Belluno)
Il 28 aprile del 1945 “Carlo” il comandante della Piazza di Belluno, ovvero Mariano Mandolesi, ripete il bliz che già gli era riuscito nel giugno del ’44, conclusosi con la liberazione di 70 prigionieri politici dalle carceri di Baldenich, senza sparare alcun colpo. Questa volta il piano scatta dall’interno delle carceri grazie alla complicità delle guardie. Tra i tedeschi di guardia e i carabinieri appoggiati dai partigiani, scoppia anche un breve conflitto a fuoco. Che si conclude positivamente, senza perdite per i “nostri”. La sequenza dei fatti è descritta nella relazione di servizio del maresciallo Antonio Raga, allora comandante della guarnigione di 15 militari dell’Arma, in servizio alle carceri bellunesi. 


Mariano Mandolesi (comandante Carlo)

<<Sin dal mese di marzo 1945 il comandante Carlo (Mariano Mandolesi n.d.r.), mentre si stavano preparando i piani per l’occupazione della città, si preoccupava della liberazione dei detenuti politici dal carcere di Baldenich>>. E’ quanto scrive il maresciallo dei carabinieri Antonio Raga nella sua relazione di servizio relativa ai fatti avvenuti il 28 aprile del 1945. E quando Mandolesi apprende che i 15 carabinieri in servizio alle carceri appartengono tutti allo stesso battaglione del maresciallo Raga, dà l’incarico a quest’ultimo affinché il blitz di liberazione dei prigionieri politici avvenga avendo cura di trattenere le spie. Il maresciallo, ordina ai propri carabinieri di tenersi pronti e di non agire assolutamente prima d’aver ricevuto l’ordine. Anche perché, solo due giorni prima, il 26 aprile, il tenente tedesco Karl gli aveva fatto intendere chiaramente di essere a conoscenza che tutti i carabinieri collaboravano con i partigiani, promettendo che <<avrebbe aggiustato i conti con loro>>. I carabinieri in servizio alle carceri, infatti, erano tutti regolarmente inquadrati in un reparto partigiano, ed erano pronti all’azione. C’era un piano segreto che nemmeno i partigiani di Borgo Pra conoscevano. Alle tre del pomeriggio del 28 aprile 1945, infatti, il maresciallo Raga si reca a Borgo Prà e si accorge che diversi partigiani muniti di corde e scale si stanno avviando verso il carcere per tentare di penetrarvi. Capisce subito che si sarebbe verificata una carneficina, perché i tedeschi in servizio nelle carceri erano superiori numericamente ed anche come equipaggiamento ed armamento individuale a quello delle sue venti guardie. E quindi sarebbe stato difficile neutralizzarli ed impedire loro di dare l’allarme e chiamare i rinforzi. Senza tener conto che la reazione tedesca sarebbe stata certamente spietata. Il tenente Karl, infatti, aveva dato l’ordine di uccidere con le bombe nelle loro celle tutti i detenuti politici in caso d’emergenza. Analoga sorte sarebbe toccata alle quattro o cinque guardie carcerarie che erano disarmate. Ed anche per i carabinieri in servizio non si prospettava una facile situazione, dal momento che erano a corto di munizioni. Raga riesce a convincere il comandante dei partigiani di Borgo Pra che bisognava attendere l’ordine del comandante “Carlo”. Un’ora dopo, infatti, tre partigiani si presentano alle carceri, e comunicano all’appuntato Savoia che l’ordine era arrivato. L’operazione ha inizio. L’appuntato chiama il comandante della guardia tedesco dicendogli che è desiderato al telefono e con l’aiuto di Grasselli (uno dei tre partigiani penetrati) lo disarma. Altrettanto fanno gli altri carabinieri insieme alle guardie. Così, sfruttando l’effetto sorpresa, diciannove gendarmi vengono immediatamente disarmati. Vengono spalancate le sbarre e i detenuti politici escono incontro ai partigiani che provvedono ad armarli. Intanto, lungo i camminamenti di cinta, le sentinelle proseguono i loro turni normali per non destare sospetti dall’esterno. Sulla strada di Baldenich, infatti, transitavano le truppe tedesche in uscita dalla città. Vengono predisposte le corde d’emergenza per un’eventuale via di fuga. Verso le sette di sera le vedette segnalano l’arrivo di 12 soldati tedeschi inviati dal comando della gendarmeria, insospettiti del fatto che non erano riusciti a parlare al telefono con il comandante della guardia. E’ sempre l’appuntato Savoia che apre il portone ai soldati. Arrivati al primo cortile interno i 12 tedeschi ricevono l’intimazione dai partigiani a gettare le armi. Ma reagiscono aprendo il fuoco in direzione delle finestre. I partigiani ed i carabinieri sparano a loro volta ed uccidono i due sottufficiali tedeschi. A quel punto gli altri dieci uomini si arrendono. L’azione riesce perfettamente senza alcuna perdita (solo un prigioniero politico subisce una lieve ferita al braccio). Poi, nella notte, avviene anche l’evacuazione completa dei detenuti comuni.

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