Belluno

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Piave, Ponte della Vittoria

martedì 7 dicembre 2010

Cronaca giudiziaria della morte di Marta Kusch la “contessa” uccisa a Pedavena nel 1945. Nel 1950 la Corte d'Assise di Belluno assolve i responsabili dell'omicidio per intervenuta amnistia

Il 25 aprile del 1945 finisce la guerra in Italia. Il 7 maggio il generale Jodl, capo di stato maggiore tedesco, si presenta al quartier generale di Einsenhower a Reims per offrire la resa incondizionata. L’8 maggio l’armistizio è ratificato dal maresciallo Keitel per la Germania. E alle ore 15 l’annuncio ufficiale della fine della guerra  viene diffuso contemporaneamente da Truman, Churchill e Stalin. Ma anche a guerra finita, “il sangue dei vinti” come l’ha chiamato Giampaolo Pansa nel suo celebre libro, continuerà a scorrere per qualche anno. Marta Kusch è una di quelle 15 mila vittime del regolamento di conti di cui riferì Ferruccio Parri al Senato nel 1948. Un dato prudenziale, che secondo alcuni andrebbe elevato a 20 mila.
L’albergo dove trascorre le sue ultime ore è chiuso oramai da tempo. Ma a Croce d’Aune, chi ha passato la settantina, la ricorda ancora perfettamente. Era una bella donna, alta e bionda che regalava le caramelle ai bambini. Il suo corpo privo di vita viene rinvenuto il 6 maggio 1945 nei pressi del cimitero di S. Osvaldo, a Pedavena. Su un dito della mano erano visibili delle escoriazioni provocate da chi le aveva strappato l’anello. Come dichiarerà cinque anni dopo al processo il sacrestano Benvenuto Siragna, che trasportò la salma nella cella mortuaria di Pedavena. La vittima si chiamava Marta Kusch (in Rower), una cittadina americana di origini tedesche, da tutti conosciuta come “la contessa”, per la sua relazione sentimentale con il conte Borgoncelli, anche lui ucciso dai partigiani nell’autunno del ’44. L’uomo era titolare della Aices di Pedavena, un’impresa edile che lavorava per la Todt. L’assassinio della Kusch, sarebbe rimasto sepolto nell’oblio, se qualche anno dopo la fine della guerra, i parenti della donna non si fossero rivolti al Tribunale di Belluno per l’accertamento delle responsabilità. Le indagini di carabinieri e polizia portarono subito alla denuncia di cinque partigiani: Rizzieri Raveane “Nicolotto” da Celarda di Feltre, comandante della Brigata Garibaldi; Bruno Tranquillo Polloni “Tempesta”, da Pedavena, comandante la compagnia “Toti”; Celeste Garavana “Gippo” da Torino; Paolo Mosca “Stellazza” da Agordo; Giuseppe De Bortoli “Valik”, comandante del Btg. Zancanaro. I cinque imputati dovevano rispondere di sequestro aggravato di persona; Raveane, Polloni, Garavana e De Bortoli di rapina aggravata e di correità in omicidio aggravato; Polloni e Garavana di una seconda rapina; Mosca, solo di sequestro di persona. Il 20 novembre del ‘50 inizia il processo nell’aula della Corte d’Assise di Belluno. Sin dalle prime battute vi sono pareri discordanti sul conto della vittima: ”si diceva che l’uccisione della contessa era da considerarsi un grande delitto” disse Vittorio Stefani, padre di Natale comandante partigiano morto. Aristide Zenoni, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale di Feltre disse che una staffetta partigiana inviata a prendere contatti con la ditta Aices diretta dalla Kusch, venne catturata e trasferita in un campo di concentramento. “Mai sentito accusare la Kusch di spionaggio prima del processo” disse invece il parroco di Pedavena don Dante Cassol. Pur ammettendo che alla Kursch voce di popolo addebitava i rastrellamenti eseguiti dai tedeschi dopo l’uccisione del conte Borgoncelli. Ma Giovanni Rento, commissario partigiano della compagnia “Dante” seppe da operai della Todt che la contessa aveva aiutato dei partigiani. Nella ricostruzione processuale dei fatti che ne segue, viene accertato che il 2 maggio 1945 il Polloni ed altri partigiani, si recano in auto nell’albergo di Croce D’Aune, dove alloggiava la Kusch e l’arrestano rinchiudendola in camera di sicurezza a Pedavena. Maria Longo e Clara Rossi, incarcerate con la Kusch, dichiarano che la “contessa” disse loro che avrebbe rinunciato a tutto pur di avere salva la vita. Dopo l’arresto, Polloni, Silvio Longhi “Rico” e Celeste Garavana “Gippo”, ritornano nella camera della Kusch a Croce d’Aune dove s’impossessano di una valigia contenente 4 milioni in banconote. La valigia viene portata al Comando di battaglione e consegnata a Dalla Sega “Robespierre”. Una rapina che si aggiungeva a quella già subita dalla Kursch nel dicembre del ’44, quando ancora abitava a Servo di Sovramonte. Ma il peggio doveva ancora avvenire. Il 4 maggio 1945 verso le 2 del pomeriggio Bruno Polloni “Tempesta” preleva la prigioniera su ordine di Rizzieri Raveane “Nicolotto”. Dopodiché, assieme a Celeste Garavana “Gippo” e al russo Bornikoff, si dirige verso il cimitero dove la Kursch viene uccisa con due raffiche di mitra. A sparare sono il russo Bornikoff e Celeste Garavana “Gippo”. Nel corso del processo, riguardo al “sequestro dei beni” dell’uccisa, l’imputato Rizzieri Raveane afferma che la pratica era normalmente in uso presso i partigiani. Ed anche il Polloni conferma che nell’ordine di arresto era implicito anche quello di prelevare tutta la proprietà della Kusch. Oltre ai 4 milioni di lire in banconote, infatti, sparisce anche l’anello, la pelliccia di visone ed altri oggetti pregiati. Dei 4 milioni però, solo 1 milione e 600 arriva al Comando di Battaglione, come precisa il comandante della Brigata Garibaldi. Circostanza confermata anche da Silvio Zenoni, membro del C.L.N. di Feltre, che riceve in consegna la valigia contenente la somma di 1milione e 600 mila lire che poi venne divisa fra i garibaldini, il Comune e i cittadini bisognosi. Martedì 21 novembre 1950 si conclude in Corte d’Assise a Belluno il processo a carico dei quattro ex partigiani Rizzieri Raveane, Bruno Polloni, Celeste Garavana e Giuseppe De Bortoli, imputati di omicidio aggravato e rapina.  La sentenza applica nei loro confronti l’amnistia e derubrica il reato di rapina in peculato, assolvendoli per insufficienza di prove. Il De Bortoli viene assolto con formula piena dal reato di rapina. Mercoledì 22 novembre 1950 tutti gli imputati sono rimessi in libertà.
(Roberto De Nart)
PS –  ringrazio sin d'ora tutti coloro che, a conoscenza di particolari o documenti relativi alla vita di Marta Kusch e del conte Borgoncelli, desiderino contattarmi al n. telefonico 328 0752321 e-mail rodenart@tin.it

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